Con la riforma del processo tributario il contribuente potrà avvalersi di nuovi parametri introdotti per garantirsi una maggiore tutela, utilizzandoli come salvagente, obbligando al contempo i comuni a destinare ogni supporto per l’attuazione delle norme di garanzia.
E’ senza dubbio l’ampliamento degli atti soggetti a
reclamo tra le più importanti modifiche attuate con la riscrittura dell’articolo 17-bis del Dlgs 546/1992 fatta dal Dlgs 156/2015. Il nuovo istituto, tra l’altro, non necessita di essere recepito in un regolamento comunale, operando ex lege. Il comma 1, infatti, per le controversie di valore non superiore a 20mila euro, prevede che «il ricorso produce gli effetti di un reclamo» e può contenere anche una proposta di mediazione con rideterminazione della pretesa impositiva. Nella sostanza, il ricorso assume valore di reclamo: scaduti i termini concessi per raggiungere un accordo nella fase pre-processuale, il ricorrente deve costituirsi in giudizio entro 30 giorni, depositando il ricorso/reclamo presso la segreteria della commissione adita. Inoltre, la norma non pone più, come in passato, limitazioni con riferimento al soggetto che ha emesso l’atto e, pertanto, sono reclamabili tutti gli atti emessi dagli enti impositori, compresi quelli degli enti locali, dell’agente della riscossione e dei concessionari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 53 del Dlgs 446/1997. I Comuni dovranno tener conto che la disposizione si applica anche agli atti notificati a novembre 2015 per i quali non sono scaduti i termini per presentare il ricorso a partire da gennaio 2016. Fino al 2015, infatti, restano valide le vecchie disposizioni. È opportuno, dunque, garantire la massima informazione su queste novità, nonché integrare il contenuto degli avvisi di accertamento, posto che la mancata osservanza delle nuove disposizioni, sia da parte del Comune sia del contribuente, determina l’improcedibilità del ricorso. Ricordiamo che il comma 5, articolo 17-bis, del Dlgs 546/1992 precisa che l’organo del Comune destinatario, se non intende accogliere il reclamo o la proposta di mediazione, può formulare una propria proposta avendo riguardo: all’eventuale incertezza delle questioni controverse; al grado di sostenibilità della pretesa; al principio di economicità dell’azione amministrativa.
Altro istituto rivisitato e modificato è la conciliazione giudiziale, il Dlgs 156/2015, difatti riordina anche la disciplina della conciliazione giudiziale mediante la riscrittura dell’articolo 48 del Dlgs 546/1992 e l’introduzione degli articoli 48-bis e 48-ter. La novità più interessante in questo caso riguarda l’estensione della procedura anche ai giudizi di secondo grado, con il riconoscimento, però, di una sanzione più elevata (il 50% del minimo) rispetto a quella applicata in primo grado (il 40% del minimo).
Diverse, infine, sono le modifiche alla disciplina sulla sospensione dell’atto impugnato, disciplinate all’articolo 47 del Dlgs 546/1992. Per effetto del comma 2 il Presidente può disporre la sospensione con decreto motivato diverso da quello di fissazione dell’udienza di trattazione. Il comma 4 ora prevede che all’esito dell’udienza sulla sospensiva la decisione in merito all’accoglimento o al rigetto dell’istanza deve essere adottata con ordinanza, il cui dispositivo deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza. Il comma 5, infine, modifica la disciplina relativa alla garanzia cui può essere subordinata la concessione della sospensiva, mentre il nuovo comma 8-bis, prevede che durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per quella amministrativa.