L’occupazione del sottosuolo di aziende di erogazione di pubblici servizi fa emergere svariati dubbi circa il prelievo contributivo posto a loro carico.
La Legge n. 662/1996, alla lettera h del comma 149 dell’articolo 3, aveva previsto l’attribuzione alle Province e ai Comuni della facoltà di “prevedere, per l’occupazione di aree appartenenti al demanio e al patrimonio indisponibile dei predetti enti, il pagamento di un canone determinato nell’atto di concessione secondo una tariffa che tenga conto, oltre che delle esigenze del bilancio, del valore economico della disponibilità dell’area in relazione al tipo di attività per il cui esercizio l’occupazione è concessa, del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico dell’area stessa, e dell’aggravamento degli oneri di manutenzione derivante dall’occupazione del suolo e del sottosuolo; attribuzione del potere di equiparare alle concessioni, al solo fine della determinazione dell’indennità da corrispondere, le occupazioni abusive”.
Nel relativo decreto delegato, l’articolo 63, comma 3, del Dlgs n. 446/1997, prevede che per la determinazione forfetaria del canone per l‘occupazione di spazi e aree pubbliche (Cosap) si applica il criterio della moltiplicazione delle misure unitarie delle tariffe per il numero complessivo delle utenze relative a ciascuna azienda di erogazione di un pubblico servizio.
E’ poi con l’art 18, commi 1 e 2 Dlgs 488/99, modificando i commi 2 e 3 dell’art 63 Dlgs n. 446/1997 che si attua un radicale mutamento. Art. 18, comma 2, per la determinazione della tassa (Tosap) si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione del canone (Cosap), così assorbendo dal 1° gennaio 2000, per effetto di queste modifiche, la tassazione delle occupazioni in oggetto, relative ai commi da 1 a 3 dell’art. 47 Dlgs 5017/93, che effettua il prelievo in base ad un criterio forfettario determinato dal prodotto tra utenze e la tariffa, in un’unica soluzione, salvo diversa regolamentazione dell’ente.
Il più grande dubbio interpretativo ad oggi risultante in merito a tale materia è la corretta interpretazione dell’art. 39 del Dlgs 507/1993 secondo il quale la tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio.
Nel dettaglio la questione, ora rimessa alla Suprema Corte a sezione Unite (sent. 2008/2019), sull’assoggettamento a Tosap dell’occupante di fatto di suolo pubblico anche in presenza di un soggetto titolare di concessione, più precisamente, in tale fattispecie, si parla di occupazioni realizzate, concessionate a un soggetto, ma poi di fatto utilizzate in forza di un contratto di affitto d’azienda da un’altra azienda erogatrice di servizi pubblici.
La Corte in primo luogo evidenzia che un contratto tra privati non può trasferire la soggettività passiva dell’imposta Tosap, per natura dunque indisponibile, ma ciò non toglie che, sia possibile al contrario inter partes, trasferire riconducibile al diritto di godimento un’area. Pertanto, anche se non è trasferita ad altro soggetto la facoltà derivante da occupazione di suolo, la soggettività rimane in capo al soggetto titolare della concessione.
Tale conclusione per quanto chiarificatrice si pone in contrasto con parte della giurisprudenza che, qualifica come soggetto passivo d’imposta in situazione analoghe, l’utilizzatore di fatto dell’area, anche se diverso dal concessionario. Una tra le tante Cassazione 21698/2017, tanto per chiarire il principio di legittimità utilizzato, statuisce che, ai fini del soggetto passivo, ciò che rileva è il fatto che l’occupante dall’occupazione ne tragga un beneficio economico.
La sentenza in commento invece, 2008/2019, non sposa quanto appena citato, sottolineando che il dettato normativo dell’articolo 39, da rilevo alla figura dell’occupante di fatto per disciplinare l’assenza di un soggetto titolare della concessione di occupazione di suolo pubblico. Disconosce per di più non citando l’aspetto lucrativo.
Pertanto preso atto del contrasto giurisprudenziale e delle interpretazioni ormai divergenti, si rimane in attesa delle sezioni unite per cercare di dirimere e definire l’acceso dibattito.