Gli effetti devastanti dell’epidemia COVID 19 sono molteplici e i Comuni si stanno attrezzando in vario modo per disporre la sospensione dei tributi comunali, data l’assenza di una specifica norma statale che dovrebbe arrivare con il decreto aprile. Quello che trapela è che a decidere saranno i singoli enti, compensati da anticipazioni della Cdp (Cassa Depositi e Prestiti). In gioco 10 miliardi dell’acconto Imu, 5 miliardi di Tari e altri 2 di voci minori.
Spesso i regolamenti comunali prevedono già il potere di differire alla giunta comunale tali disposizioni, ma si tratta normalmente di potere limitato alle scadenze ordinarie, che pertanto non include ad esempio la possibilità di sospendere le rateizzazioni in corso.
In altri casi i comuni nulla hanno regolamentato, ma come stabilito anche dal Consiglio di Stato sent. 4435/2018, procedono comunque con delibera di giunta, in caso di urgenza e impossibilità di convocare il Consiglio Comunale.
Non sembra possibile parlare di un blocco generalizzato, perché secondo quanto si vocifera a decidere saranno i Comuni e gli altri enti territoriali, come detto sopra, questo per ragioni sia di autonomia tributaria che di conti. Difatti non possiamo scordare che le somme poste in gioco sono senz’altro di rilevanti entità, come i 10 miliardi dell’acconto Imu di giugno, almeno 5 miliardi delle prime rate della tariffa rifiuti e circa 2 miliardi legati ai tributi cosiddetti “minori” come l’imposta di pubblicità o l’occupazione del suolo pubblico. Ricordiamo poi che tra marzo e aprile si inviano normalmente il conguaglio della Tari e la prima rata dell’anno.
Occorrerebbe a questo punto sospendere non solo i versamenti ordinari, ma anche quelli relativi alle rateazioni, sia da accertamento sia da ingiunzioni. Per queste ultime l’articolo 68 del Dl 18/2020 non appare cristallino, perché non si comprende se è stata disposta la sola sospensione delle cartelle e delle ingiunzioni scadenti nel periodo 8 marzo – 31 maggio o anche quella delle rateizzazioni scadenti nello stesso periodo. Il dubbio deriva dal fatto che il comma 3 differisce termini in parte già compresi nel periodo di sospensione. E comunque la norma non pare di favore per i debitori, perché anche ammettendo che nella sospensione siano inclusi i versamenti da rateizzazioni, si chiede al debitore di pagare a giugno quattro rate (marzo-giugno), un peso che probabilmente molti debitori non riusciranno a sopportare.
Quel che è certo è che l’attività degli uffici tributi comunali dovrà andare avanti, perché l’articolo 67 dispone la sospensione dei termini di versamento, ma non delle attività. Esistono infatti una rilevantissima parte di attività e di casi, di dettaglio, che il Decreto non ha preso in considerazione ma che l’Ufficio non può e non potrà trascurare. La sospensione non opera per i versamenti che il curatore deve fare per l’Imu maturata durante il periodo fallimentare, da effettuare entro tre mesi dal decreto di trasferimento, oppure non opera la sospensione per i versamenti da rateizzazione connesse alle conciliazioni giudiziali.
Nella relazione tecnica al decreto si precisa che la norma non ha effetti negativi sul gettito, perché nel periodo di sospensione delle attività il personale degli enti non fermerà interamente le lavorazioni in termini istruttori, anche attraverso le modalità di lavoro agile, che potranno essere riprese con piena operatività a valle del periodo di sospensione.
Coprire dunque ex ante un blocco generalizzato non sarebbe semplice, in un decreto che prova a superare i 30 miliardi e andrà finanziato in larga parte a debito, e che vedrà almeno 11 miliardi assorbiti dalle misure di sostegno al reddito e dagli ammortizzatori sociali il cui costo è esploso. È forse per questo che il governo sta scegliendo di lasciare le decisioni agli enti locali?