Il D.Lgs. n. 116/2020 – in vigore dal 26 settembre 2020 – modifica il D.Lgs 152/2006 (Codice dell’Ambiente) recependo le direttive europee sui rifiuti UE 2018/851 e sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio 2018/852.
Il Dipartimento delle Finanze del Mef ha reso importanti chiarimenti su due aspetti riguardanti la Tari nelle attività industriali: la tassazione in caso di produzione di rifiuti speciali e di rifiuti urbani e il trattamento tributario applicabile nel caso in cui le utenze non domestiche conferiscono i rifiuti al di fuori del servizio pubblico.
Nel dettaglio è stato chiesto, alla luce delle novità introdotte dal D.Lgs. n. 116/2020 se le attività industriali siano comunque tenute al pagamento della quota fissa della Tari o se le stesse, producendo comunque rifiuti urbani in locali e aree diverse da quelle destinate a lavorazioni industriali siano tenute a pagare anche la quota variabile Tari con riferimento a tali superfici.
In riscontro a ciò, il Dipartimento delle Finanze ha chiarito che la Tari non si applica per i locali dove si producono rifiuti speciali. Invece si applica per i locali dove si producono rifiuti urbani.
Le attività industriali possono essere produttive sia di rifiuti urbani che speciali. Pertanto, al fine di definire correttamente il perimetro di applicazione della Tari per le attività industriali è necessario individuare le superfici che producono rifiuti speciali e quelle che, invece, producono rifiuti urbani.
Sono da considerarsi superfici di lavorazione industriale quelle produttive di rifiuti speciali
Possano considerarsi produttive di rifiuti speciali le superfici di lavorazione industriale, le quali, conseguentemente, sono escluse dall’applicazione della Tari. Allo stesso modo devono escludersi le superfici dove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali nonché i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di attività produttive di rifiuti speciali. Al contrario si applicherà la Tari sia per la quota fissa che per la quota variabile a tutte le superfici produttive di rifiuti urbani non essendo funzionalmente collegati alle attività produttive di rifiuti speciali.
Il Dipartimento delle Finanze ha risposto ad un secondo quesito circa il trattamento ai fini Tari per le utenze non domestiche che conferiscono i rifiuti al di fuori del servizio pubblico, alla luce delle disposizioni contenute negli articoli 198, comma 2-bis e 238, comma 10, D.Lgs. n. 152/2006, nel dettaglio la richiesta è la seguente:
– se l’uscita dal pubblico servizio può operare con riferimento a tutte le frazioni di rifiuto urbano prodotte dall’utenza non domestica, oppure se l’azienda può chiedere di uscire dal servizio pubblico producendo anche un contratto relativo ad una sola frazione di rifiuto;
– nel caso in cui l’azienda non può uscire dal servizio pubblico se non contrattualizzando tutte le frazioni di rifiuto urbano, se il Comune sia tenuto a riscrivere il proprio regolamento per trasformare la riduzione della parte variabile della tariffa ancorata ai rifiuti speciali assimilati (ex art. 1, comma 649, legge n. 147/2013), non più presenti nel 2021 in riduzione per rifiuti urbani “simili” avviati al recupero, in modo tale da riconoscere comunque non solo alle aziende una riduzione proporzionale della parte variabile, ma anche di continuare a permettere l’azzeramento della parte variabile senza che sia necessario uscire dal pubblico servizio.
Il Dipartimento delle Finanze riscontra che nel caso di conferimento dei rifiuti l’utenza non domestica potrà sottrarsi al pagamento dell’intera quota variabile della tassa oppure potrà usufruire di una riduzione della quota variabile della tassa.
Lo stesso Dipartimento, conclude che le norme sopra riportate non sono concordi, e risultano di difficile interpretazione con quanto già vigente in materia di Tari.
Da un’analisi normativa si evince inoltre che il comma 10 dell’art. 238, D.lgs. n. 152/2006 dispone che le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani, che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e che dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi, sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti. La norma subordina, quindi, l’esclusione dal pagamento della quota variabile, ossia quella rapportata alla quantità di rifiuti, al conferimento di tutti i rifiuti urbani al di fuori del pubblico servizio e al loro avvio al recupero per un periodo di almeno cinque anni.
Diversamente, l’art. 1, comma 649, legge n. 147/2013, il quale non è stato inciso dal comma 10 sopra menzionato, prevede che “per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati”. Quest’ultima norma presenta ancora il riferimento ai rifiuti assimilati, categoria non più esistente, per cui lo stesso va attualizzato sostituendolo con i rifiuti urbani, secondo le nuove disposizioni recate dal D.Lgs. n. 116/2020.
Da ultimo, va evidenziato che, a differenza del comma 10 dell’art. 238, D.Lgs. n. 152/2006, che riguarda l’abbattimento della “componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti” nel caso di avvio al recupero, l’art. 1, comma 649 parla di rifiuti che “il produttore dimostra di aver avviato al riciclo”, quando il riciclo costituisce un’operazione di recupero.
Le norme in analisi sono in relazione all’applicazione della parte variabile e pertanto non dovrebbero comportare la totale esclusione dal pubblico servizio, si ritiene pertanto che le stesse debbano essere contenute nel regolamento comunale, ciascuna secondo le proprie caratteristiche, con la conseguente necessità di adeguare il regolamento al nuovo quadro normativo.
Concludendo secondo il Dipartimento delle Finanze:
“se un’utenza non domestica intende sottrarsi al pagamento dell’intera quota variabile, deve avviare al recupero i propri rifiuti urbani per almeno cinque anni, come stabilito dall’art. 238, comma 10, D.Lgs. n. 152/2006;
se, invece, l’utenza non domestica vuole restare nel solco della previsione del comma 649 dell’art. 1, legge n. 147/2013, tenendo conto di quanto disciplinato dal regolamento comunale, la stessa può usufruire di una riduzione della quota variabile del tributo proporzionale alla quantità di rifiuti urbani che dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati, senza sottostare al vincolo di cinque anni fissato dal comma 10.”
Il Decreto legge “Sostegni” è stato pubblicato in Gazzetta ed è in vigore da oggi – Decreto Legge 22 marzo 2021, n. 41 in GU n.70 del 22-03-2021, dispone la proroga dei termini per la delibera delle tariffe e i regolamenti della TARI e della tariffa corrispettiva entro il 30 giugno 2021. Il rinvio si porta dietro anche un tentativo di soluzione del problema delle imprese che possono uscire dal servizio pubblico ottenendo una serie di esenzioni dalla tariffa comunale: per farlo, come specifica l’articolo 30, comma 4 del decreto sui «Sostegni», dovranno comunicarlo entro il 31 maggio, al Comune o al gestore del servizio quando viene applicata la tariffa corrispettiva. Solo un mese prima, nell’ultimo calendario, rispetto alla scadenza per le tariffe.
La novità nasce proprio dall’esigenza di applicare la disciplina europea sui rifiuti, recepita in Italia nell’autunno scorso con il decreto legislativo 116 del 2020. Le nuove regole cancellano il potere dei Comuni di «assimilare» i rifiuti speciali prodotti dalle imprese industriali a quelli urbani, assoggettandoli quindi alla tariffa comunale. E permettono alle imprese, questo è il punto chiave, di chiedere l’uscita dal servizio pubblico di raccolta e smaltimento quando dimostrano di aver avviato al recupero i loro rifiuti per altra via, tramite gli operatori privati.