Partendo dalla Legge 147/2013, art. 1 comma 682, si determina che i comuni con regolamento devono adottare, ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, la disciplina per l’applicazione della IUC, concernente tra l’altro:
- a) per quanto riguarda la TARI:
1) i criteri di determinazione delle tariffe;
2) la classificazione delle categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti;
3) la disciplina delle riduzioni tariffarie;
4) la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni, che tengano conto altresì della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l’applicazione dell’ISEE;
5) l’individuazione di categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell’obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta.
Tutto quindi attraverso un’articolata classificazione delle varie categorie di attività economiche con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti ed una dettagliata specificazione dei corrispondenti criteri di determinazione delle tariffe.
In tale contesto, l’uniformazione della qualificazione ascrivibile alla superficie destinata alle attività accessorie e strumentali alla qualificazione della superficie destinata all’attività principale del medesimo complesso immobiliare è coerente con l’intento legislativo di diversificare il trattamento tributario soltanto in relazione alla eterogenea tipologia delle varie categorie di rifiuti.
La Cassazione, con la sentenza n. 29911/2020, ha sancisce un principio molto importante. Il Comune in giudizio ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria per due motivi, con il primo, per non aver tenuto conto che la superficie dell’immobile destinato ad uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi fosse, comunque, strumentale all’esercizio della “prevalente attività industriale”, con la conseguente applicazione della relativa tariffa per l’intera superficie del complesso produttivo.
Con il secondo, si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, applicando per errore la tariffa prevista per gli studi professionali, anziché quella prevista per l’attività industriale, alla superficie dell’immobile destinato ad uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi.
Avendo incentrato il giudizio sulla individuazione della tariffa applicabile alla superficie più ampia destinata all’attività e ritenendo pacifica l’esenzione della superficie destinata alla lavorazione, l’ente impositore ha valutato che le attività svolte nel fabbricato destinato ad uffici amministrativi fossero meramente strumentali ed accessorie all’attività svolta nel fabbricato destinato alla conservazione ed alla manipolazione dei prodotti ortofrutticoli, per cui la tassazione doveva applicarsi in base alla tariffa prevista per “attività industriali con capannoni di produzione” (codice 20), anziché in base alla tariffa prevista per “uffici, agenzie, studi professionali”, in relazione alla vocazione principale e prevalente dello stabilimento industriale nella sua interezza.
Quanto sostenuto dall’Ente ha trovato sostegno dalla classificazione catastale dell’immobile.
Sotto tale aspetto, dunque, si può ritenere e ribadire quanto già sopra esposto, che il Comune abbia esercitato la potestà regolamentare in assoluta conformità ai criteri ed alle prescrizioni dell’art. 1, comma 682, della Legge 27 dicembre 2013 n. 147, dettando un’organica disciplina per l’applicazione della I.U.C., attraverso una articolata classificazione delle varie categorie di attività economiche con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti ed una dettagliata specificazione dei corrispondenti criteri di determinazione delle tariffe.